Napoli, 5 maggio 2012 – Come Pietro Paganelli, anche Giovanni aveva lasciato un biglietto. E anche la sua è una storia di dignità perduta. Portiere di uno stabile al corso Garibaldi a Napoli, in un colpo aveva perso il lavoro e l’alloggio che viene assegnato al custode. Prima di farla finita impiccandosi, su un foglio di carta aveva scritto: “Dite a mamma che non ho più i soldi per pagarle l’assegno”. E’ finita il 30 aprile, alla vigilia della festa dei lavoratori, la vita di Giovanni Caccavale, 57 anni. L’ultima tacca, prima dell’episodio di oggi. Un numero che lievita, alla luce degli episodi più recenti. In Italia, secondo i dati della Cgia di Mestre, dall’inizio dell’anno sono già una trentina i suicidi per la crisi. Casi che, secondo dati Eures, sono raddoppiati rispetto a dieci anni fa. Due giorni prima del suicidio del povero portiere, un’altra morte per lo stesso male. Si chiamava Gavino Vecchione, aveva 48 anni e non aveva più il suo lavoro di guardia giurata. Nella sua casa di Avella si è sparato un colpo alla testa. Più recente il caso di Alfonso Salzano, muratore 52enne: Alfonso si è tolto la vita impiccandosi con un cavo elettrico nella sua abitazione di Casaluce, nel Casertano. Facile da ricercare il movente: senza lavoro da sei mesi, soffriva di crisi depressive. Appena una settimana fa, a Napoli, la comunità del Vomero si era stretta attorno ai familiari di Diego Peduto, imprenditore nel settore immobiliare che si è tolto la vita lanciandosi dal balcone di casa. Ci aveva già provato, ma una pattuglia di poliziotti gli aveva salvato la vita. La vita di chi non ha retto alla crisi. O che, come chi lo seguirà nella scelta di farla finita, credeva di aver perso la dignità di uomo.
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